| L’idea fondamentale di una sola famiglia umana non è  mera utopia o astrazione filosofica, piuttosto un cammino della storia umana in  parte già percorso, una prospettiva che altri prima di noi hanno percepito e  vissuto, di questa loro esperienza dobbiamo fare tesoro per proseguire nel  cammino.
 La formulazione “più perfetta” dell’umanità unificata è quella di  Paolo ai Galati (3,28): «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è  schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in  Cristo Gesù». San Paolo dichiara  ormai abbatutti tre grandi muri che dividono l’umanità da un punto di vista  etnico-religioso (giudeo-greco), da quello socio-economico (schiavo-libero)  fino ad arrivare a quello di genere (maschio-femmina).
 Questo però non significa che ci si può indirizzare  verso l’unità della famiglia umana prescindendo dalla propria identità, dalla  propria cultura, dalla propria fede.
 La globalizzazione postmoderna  tende alla omologazione, a rendere tutti i paesi del mondo sempre più interdipendenti  integrando mercati e produzione, lavoro e capitale, cultura e tecnologia. Il  mondo, sempre più integrato ed omologato, tende ad assumere l'aspetto  tranquillizzante di un unico grande supermercato; dietro l'apparente illusione  di sentirsi dappertutto a casa propria si nasconde il rischio reale di non  trovare più da nessuna parte il luogo della propria esistenza. La  globalizzazione infatti tende a cancellare tutte le differenze culturali,  psicologiche, antropologiche; recidendo il legame con le tradizioni, genera un  senso di insicurezza e un vuoto spirituale che forse non ha precedenti nella  storia dell'umanità. Probabilmente è per questo  che, in diverse occasioni, viene proposto con forza, a volte con violenza, il  problema dell'identità etnica, dell'appartenenza ad un popolo e ad una terra  che lungi da essere uno sguardo ad un passato ormai morto, diventa espressione  della ricerca di senso, di significato della propria storia, di una propria  collocazione nel mondo.
 Mons.  Bruno Forte (B. Forte, Dove va il cristianesimo?,  Queriniana, Brescia 2001)  indica tre contributi che il cristianesimo può offrire alla costruzione  dell’unità della famiglia umana, superando le deviazioni ed i limiti di  omologazione della globalizzazione: la martyria, la koinonia, la diakonia.  Sono tre orizzonti di senso radicati nel cuore della fede cristiana, che hanno  una valenza universale, ma non ideologica. La via della martyrìa (testimonianza), di fronte al bisogno di religiosità nell’epoca postmoderna,  mostra il primato della fede non razionalistica né ideologizzata, radicata  nell’esperienza, nella totalità dell’uomo, capace di rendere ragione della  speranza. La via della koinonìa (comunione) risponde al bisogno di unità  della famiglia umana, chiede ai cristiani di testimoniare, in maniera corale,  la possibilità dell’essere insieme, comunità abitabile, accogliente, attraente,  dove ci si senta accolti, rispettati, personalmente riconciliati. La via della diakonìa (servizio), risponde alle sfide della giustizia sociale, dell’ecologia e  dell’etica, sollevate dalla globalizzazione, ed esprime l’impegno per la  giustizia, la solidarietà, la pace che, derivando dalla fede, contrastino le  ambiguità ideologiche ed economiche della globalizzazione.
 La testimonianza - martyrìa - che la “Gente del Viaggio” può offrire alla società di oggi in  ordine alla costruzione di una famiglia umana più unita e solidale è data  essenzialmente dalla sua storia passata ed attuale fatta di strade percorse e  persone incontrate, di comunità capaci di far convivere culture ed esperienze  diverse. La tipologia di spettacolo che offre, in cui i ruoli di attori e  spettatori si intersecano, si scambiano e si confondono, costruisce una specie  di koinonìa laica, pur momentanea ma  non meno intensa e partecipata. Il senso della provvisorietà, la non  appartenenza ad un luogo specifico è una sorta di diakonìa che la gente del viaggio offre ad una  umanità troppo legata ad un territorio a cui si sente attaccata e che deve  difendere dagli altri: “C’è  nella vita dei fieranti e circensi una sorta di profezia, di segnale agli altri  esseri umani: tutti siamo chiamati a piantare e spiantare, nessuno è  definitivo, la terra che ci accoglie non è nostra esclusiva proprietà, l’unica  cosa necessaria per vivere è saperci accogliere” (Luciano Cantini, In Cammino 2009-3).
 La Gente del  Viaggio per sua natura e per la sua storia funge da incontro e raccordo tra  persone. È una sorta di società a se stante con una vita propria, una propria  storia, una propria cultura, autonoma e nello stesso tempo dipendente dalla  società più grande in cui è immersa. « È fuor di dubbio che quello del circo sia un microcosmo, un mondo  dentro un mondo, con delle regole abbastanza precise e spesso diverse da quelle  di “fuori”.(…) E resta il fatto che quel mondo esterno per i circensi resta pur  sempre anche un campo di battaglia, nel senso che ad esso si deve continuamente  raffrontare per sbrigare problemi pratici» (Alessandro Serena, Magia e luoghi comuni, in Circo Virtuosismi, Lineagrafica, Città  di Castello  2002).
 È una vita strana  quella del Viaggiante, senza luogo e senza radici, perennemente confinata in un  altrove rispetto alla vita dei “Fermi”, ma non a loro estranea. Lo spettacolo  della Fiera e del Circo ha un linguaggio proprio, che sa  leggere gli elementi della cultura contestuale e se ne serve, utilizzandoli in  modo nuovo trasformandone il significato. Queste riflessioni, condotte secondo  un approccio semiotico ( Paul Bouissac, Circo e cultura,  Sellerio, Palermo, 1986), mirano a considerare il circo come  un «discorso  metaculturale», che gioca, cioè, liberamente con un sistema  culturale, collocandosi allo stesso tempo dentro e fuori di esso.
 La Fiera, nata  nel medioevo intorno al Mille, aveva una triplice funzione come luogo di commercio, luogo delle esibizioni di  venditori-imbonitori e di artisti girovaghi, e infine luogo di scambio di informazioni in un periodo storico in cui non  esistevano mezzi di comunicazione stabili. In un mondo senza scuole, senza  libri, senza giornali, senza televisione, senza telefono e senza Internet, la  piazza era l’unica occasione di incontro fra persone provenienti da ambienti  diversi e lontani, un centro di  aggregazione sociale con un’importante valenza culturale. I cantastorie,  gli spettacoli di marionette, la commedia dell’arte, le lanterne magiche, i  serragli degli animali esotici, i padiglioni delle scienze e i musei anatomici  ambulanti resero visibile la storia, la scienza, la cronaca a gente analfabeta  che non aveva altri mezzi di apprendimento. È un  mondo di grande interesse antropologico quello dei viaggiatori, di tutti i  tempi, che ha concorso non poco al diffondersi della cultura, al  superamento delle frontiere, alla costituzione di una Europa dei popoli, forse  non si potrebbe parlare oggi di una cultura europea se non ci fossero stati  questi piccoli “artigiani della festa” a scorrazzare per strade e villaggi. È un mondo da sempre trascurato dalla cultura ufficiale perché considerato a  torto storia minore, un mondo in parte sommerso, ingiustamente  snobbato dall’uomo smaliziato, sofisticato e superinformatizzato del terzo  millennio.
 L'universo del Circo e dello  Spettacolo Viaggiante sembra lontano dal nostro tempo ipertecnologicizzato e ci  riporta a stili di vita e a forme di ricreazione innocenti, schiette, che  disarmano per il messaggio di candore, di freschezza che sanno ancora  trasmettere: un rito di liberazione collettiva dalle tensioni, dalle  frustrazione e dalle angosce profonde dell'essere e da quelle accumulate nel  tran tran quotidiano.  Il Circo e Luna Park rappresentano  un'espressione di costume e di civiltà legata a un quadro sociale e  intellettuale e a un modo di vita che appaiono sempre meno in sintonia con la  nostra mentalità e con un tempo, come quello attuale, dominato da tante altre  forme alternative di divertimento, e proprio per questo assumono una rilevanza  culturale ancora maggiore. Il circo «è una specie di specchio in cui la cultura si riflette,  condensata e allo stesso tempo trascesa » (Paul  Boussiac, Circo e cultura, Sellerio, Palermo, 1986).
 S.S. Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata della  Pace del 2008 ha scritto: “Non viviamo  gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come  fratelli e sorelle. È perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere  la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo  in Lui la sorgente originaria della propria, come dell'altrui, esistenza. È  risalendo a questo supremo Principio che può essere percepito il valore  incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse  per l'edificazione di un'umanità pacificata. Senza questo Fondamento  trascendente, la società è solo un'aggregazione di vicini, non una comunità di  fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia”.
 La risposta a una globalizzazione escludente è la  solidarietà, che vuol dire vicinanza, dedizione della persona alla persona. Gli  spettacoli che nel mondo sono offerti nelle Fiere e nei Circhi equestri hanno  questo senso. La metafora adeguata non è quella del «globo», dunque legata alla  terra e al territorio, da cui nasce il termine globalizzazione, ma della  «famiglia» umana, dove il riferimento è la persona, il mondo diventa casa, dove  c’è vicinanza, stima, gioia, e, perché no, allegria.
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